La finale del Roland Garros 2012 contro Maria Sharapova, i trionfi in doppio con Roberta Vinci (le Cichis hanno realizzato il ‘Career Grand Slam’), la gratitudine nei confronti del suo allenatore Pablo Lozano e lo speciale rapporto che li lega, ma anche il calvario degli ultimi due anni dopo una squalifica per doping, una sanzione che l’ha allontanata dal tennis (quello che più ama fare nella vita) seminando il dubbio su una brillante carriera nell’elite mondiale, i fantasmi che quella vicenda ha lasciato dentro di lei e il desiderio di lottare con tutta se stessa per vincere questa partita – la più difficile – anche a costo di trovarsi a disputare i tornei cosiddetti “minori” per tentare di risalire la china. Sara Errani si è raccontata, forse sarebbe il caso di dire si è messa a nudo, in una lunga intervista concessa a Valencia al giornalista spagnolo Fernando Murciego e pubblicata sul sito puntodebreak.com .

Per certi versi uno sfogo catartico per la tennista di Massa Lombarda, oggi, a 32 anni, al 239° posto del ranking Wta, lei che nel maggio 2013 è arrivata ad accomodarsi sulla quinta poltrona della classifica mondiale. Dolore, rabbia, ma anche speranza, orgoglio e umiltà emergono chiaramente dalle sue parole, tante sfumature differenti che fanno capolino dietro quel suo sguardo luminoso, gli stati d’animo di un’atleta che si trova a dover fare i conti con il proprio vissuto personale in una sfida non solo e non tanto con le avversarie sul campo.
Un’intervista ripresa, in sintesi, dal sito della Federazione Italiana Tennis e la cui traduzione su net-gen.it proponiamo integralmente – anche se molto lunga – proprio per la ricchezza dei contenuti, fedeli a quell’obiettivo del “fare rete” che ci ha mosso fin dagli inizi, convinti di fare un servizio agli appassionati, in primis quelli romagnoli. Con l’auspicio di rivedere quanto prima sul volto di Sara quel sorriso, irresistibile, dei bei tempi, che partiva dai suoi occhi.
Per chi lo desidera, ecco il link per consultare l’articolo integrale:
http://www.puntodebreak.com/2019/09/28/sara-errani-quiero-volver-disfrutar-ver-llegar
Ognuno di noi cambierebbe la sua vita con quella di un tennista professionista. Viaggi, adrenalina, fama, competizioni, privilegi, miglioramento personale, tutto bello. Almeno tutto quello che vediamo. Ci sono momenti in cui essere un tennista professionista non è tanto bello come appare. Quando ci sono infortuni, quando non vinci partite, quando ti mancano alcune persone, quando la mente traballa, quando arrivano le critiche, quando il tuo ranking si abbassa notevolmente, quando ripensi a tutto. Immaginate poi se a tutto questo si aggiunge anche una squalifica per doping che ti proibisce di giocare, una sanzione che ti allontana dal tennis e semina il dubbio su una brillante carriera nell’elite del tennis mondiale. Sara Errani (Bologna, 1987) ha vissuto le due facce della stessa medaglia, quindi ora cammina, colpisce e riflette in maniera differente. Il suo sguardo emana molte sfumature: dolore, speranza, rabbia, orgoglio, umiltà. Il suo sorriso, però, continua ad essere imbattibile.

E’ giovedì e Sara ha appena perso al secondo turno del BBVA Open Ciudad De Valencia contro una ragazza di 15 anni più giovane, Marta Kostyuk. Se questo qualche anno fa sarebbe stato considerato un fallimento, ora e’ un passo in avanti. Sara non ha vinto il match, ma ha lottato, ha giocato, per questo abbandona il campo pensando positivo. Pablo Lozano, pilastro fondamentale dal giorno in cui Sara ha messo piede in Spagna per la prima volta, continua ad essere il faro in questa seconda parte di carriera. Si tratta di una battaglia contro se stessa, contro le sue paure, contro le pagine più oscure di questo suo cammino. Per fortuna, le sue qualità come persona continuano ad essere straordinarie, come dimostra questa lunga intervista di oltre 45 minuti in cui ha parlato di tutto. Uno sfogo necessario dopo quasi due anni di calvario e di momenti durissimi.
– Sara, peccato per oggi. 6-2 6-4 risultato secco ma un po’ bugiardo.
Sì, ero 4-1 sopra nel secondo set. Ho avuto varie opportunità, però ancora manca qualcosa per migliorare il mio livello. Soprattutto fisicamente, sono stato ferma un mese e mezzo senza poter fare niente per una fastidiosa ernia cervicale, e ho perso molto ritmo.
– Però il circuito non si ferma mai, non ti da respiro.
Sì, siamo stati in Cina due settimane coscienti che non fossi al 100%, facevo fatica a colpire di rovescio, però avevo bisogno di allenarmi. Poi giocare tornei è totalmente differente, ma abbiamo deciso comunque di andare pur non essendo al top. Sono tornata in Spagna dopo due sconfitte pesanti, ma bisogna continuare.
– Ottavi di finale in un 60mila suona male, però la sensazione é di aver fatto un passo in avanti.
Vedendo come sono arrivata a questo torneo e tutto quello che ho passato, e’ stato un torneo positivo. Contro la Hogenkamp mi é piaciuto molto il match, mi sono sentita competitiva e questo é ciò che più mi manca ora. Contro la Kostyuk ho avuto poco tempo per recuperare, e comunque e’ andata bene lo stesso.
– Nessuna giocatrice del tabellone sa che cosa significhi giocare una finale in un Grande Slam, nessuna del tabellone ha mai passato neanche il 4° turno. Nessuna é stata mai nelle top 50 del ranking. Questi dati pesano?
Non mi concentro molto su queste cose, penso solo a me stessa, a migliorare e provare a fare le cose per bene. Desidero tornare ad essere quella che ero. Quando mi parlano di finale del Grande Slam mi sembra siano passati mille anni, come se quello che ho fatto l’avesse fatto un’altra persona e non io. Desidero concentrarmi sulle cose giuste che devo fare, anche se durante le partite mi succedono cose strane, cose che non mi sono mai capitate in passato.

– Che tipo di cose?
La testa, é come se andasse per i fatti suoi. Sono sensazioni delicate, a volte non facili da gestire.
– Come gestisci questa pressione?
L’ideale sarebbe non sentire la pressione, soprattutto nel mio caso. In questo momento sono molto indietro, mentalmente e’ una cosa complicata e difficile da spiegare. Io sento la pressione. Essendo stata dove sono stata, ho ricordi di quando scendevo in campo e tutto mi riusciva bene, alla perfezione. Ora quando scendi in campo e non riesci a fare quello che facevi prima, ti brucia dentro. Sei più nervoso, desideri giocare meglio, ti domandi come sia possibile sbagliare così tante palle che prima non sbagliavi, però devo essere cosciente di quello che sono in questo momento e di quello che ho a disposizione in questo momento. Devo salire ancora molti gradini per tornare dov’ero. La confidenza si recupera vincendo partite, e per vincerle devi giocarle e giocarle bene, e ora mi manca anche condizione fisica. Prima giocavo mille partite senza problemi, era come se mettessi il pilota automatico e andavo. Devo recuperare queste sensazioni.
– Paradossalmente stai pagando il fatto di essere stata così forte, come se i tuoi numeri ti perseguitassero. Finalista al Roland Garros, ex numero 5 del mondo…
E tutto quello che faccio ora e che farò non andrà mai bene. Se lo paragoni a quello, tutto quello che verrà sarà sempre peggiore. Il giorno dopo aver perso la finale a Parigi ho detto a Pablo: “a partire da ora, tutto quello che farò sarà una merda, a meno che non faccia un’altra finale Slam o che vinca un Grande Slam”. Però non puoi vederlo in questo modo, altrimenti smetti di giocare immediatamente. Bisogna recuperare questa sensazione di divertirsi giocando e facendo tornei, anche se non è facile.
– Quello stesso giorno hai detto a Pablo un’altra cosa importante: “ora ho bisogno di te più che mai”. Ti riferivi a quello che sarebbe successo dopo.
Già quella settimana fu molto faticosa per tutte le interviste che ho dovuto fare. Sinceramente, non amo essere al centro dell’attenzione. Ci furono un sacco di cose in più da controllare di quelle che di solito controllavamo, persi un po’ del mio spazio, allenarsi tranquillamente per esempio, un sacco di persone in più intorno e mi sentii in pericolo. Per questo gli chiesi aiuto, perché da sola non potevo farcela. Sono stata molto fortunata ad avere Pablo sempre con me.
Prima, durante il tuo match, si é avvicinato un ragazzo e mi ha detto: “cosa fa la Errani a questo torneo? Perché non vince più partite?”, non ho saputo cosa rispondergli.
Tutto quello che mi è successo negli ultimi due anni è stata una follia. La squalifica, il dover star ferma senza giocare, poi giocare aspettando una risposta… è stato un calvario che non augurerei mai a nessuno. Ho vissuto momenti che non si possono spiegare, e questo mi ha lasciato qualcosa dentro, mi ha lasciato sensazioni con le quali non é facile convivere. Ho iniziato a provare paura, situazioni nuove che non sapevo come risolvere. Però sono qui, provando con tutta me stessa a superarle.
– Come ti ha comunicato l’ITF che sei risultata positiva a un controllo antidoping?
Se vuoi che te lo racconti bene dobbiamo stare qui sette ore a parlare (ride).

– Quello che é chiaro é che era la loro parola contro la tua.
Il fatto é che si è intromessa anche la NADO (Antidoping italiano), non é stato solo contro l’ITF. Quando mi hanno dato 2 mesi di squalifica (più 5 mesi di risultati squalificati e prize money da restituire) questo era la sanzione dell’ITF. Poi é entrata la NADO dicendo che per loro non era sufficiente, e hanno chiesto una squalifica più lunga. Un autentico calvario.
– Il peggior momento della tua carriera.
Immaginati di giocare ogni settimana, aspettando una risposta dal TAS. E questa risposta non arriva mai. Hanno rinviato la loro decisione al mese seguente sette volte, mentre io continuavo a giocare. Sono cose extra-sportive che ti rubano la concentrazione, perdi la testa, ti senti indifesa senza possibilità di fare niente. Poi, dopo oltre sei mesi giocando in queste condizioni, ti dicono che ti aggiungono altri 8 mesi di squalifica. Una follia. Trattata come una delinquente.
– Come è stata la reazione della stampa?
Molto dura, soprattutto in Italia. E’ brutto dirlo, però la stampa italiana é sempre stata molto dura con me. Si sono intromessi in cose molto personali, tirando in ballo la mia famiglia su argomenti molto delicati, e si sono comportati male. Molta gente mi ha appoggiata e sostenuta, ma la stampa si é ripetutamente comportata male, tirando in ballo anche cose familiari molto delicate. Sopportare tutto questo con tutto quello che già stava succedendo é stata ancora più dura.
– Anche Fognini ha avuto problemi con la stampa italiana, dovrebbe essere tutto il contrario.
Sarebbe bello fosse così, però non lo é. Invece di fare il loro lavoro in maniera costruttiva, cercando di fare uscire articoli belli e interessanti, in Italia – tranne qualche eccezione – si concentrano solo sulle cose negative, spesso provocando danni ai propri giocatori. La cosa logica sarebbe valorizzare quello che si ha, cercare di portare in alto i giocatori del proprio Paese, e invece succede l’opposto, ti schiacciano. Non so perché succede, ma é così.
– Prima della sanzione viene la tua immagine e la tua persona. Pensi che la tua carriera sarà macchiata per sempre da quello che è successo?
Certo, e questo é molto duro da sopportare. Io ho sempre avuto molta paura del “doping”. Pablo te lo può confermare. Tante volte é capitato che dottori mi abbiano detto di prendere qualche medicina e io di nascosto non le prendevo, perché non mi fidavo e avevo paura potesse succedere qualcosa. Sembra una cavolata, però tu vai a un torneo e apri bottiglie tutto il giorno, non sei mai sicuro al 100%…
– Anche se l’incidente che ti é successo é successo in casa.
Sì. Una situazione assurda, un peccato. Avrei voluto trovare una spiegazione a quello che é successo, ma non l’ho trovata. E’ stato il destino o qualsiasi altra cosa.

– In ogni caso, la sensazione è che questo problema sia già passato in secondo piano.
Beh, ora mi attaccano per altre cose. “non sai servire”, “ perché giochi ancora?”, “ ritirati”. Tutto quello successo negli ultimi due anni é stato un po’ messo da parte, però poi appena vinci due partite di fila risalta fuori. Questo é quello che succede, sappiamo che nel tennis dobbiamo convivere con tanti insulti, tante offese che arrivano soprattutto dai social, ma questo non mi da fastidio più di tanto. Non do importanza a tutto questo, io continuo a fare il mio lavoro, concentrandomi sulla mia carriera. Vorrei tornare a sentirmi bene su un campo da tennis, a divertirmi, tutte cose che ultimamente mi sono mancate causa tutto quello che é successo.
– Un altro punto di flessione della tua carriera é stato a fine 2016, quando hai deciso di interrompere il tuo rapporto con Pablo. Perché?
Sono successe alcune cose che ci hanno portato a questa decisione. La scelta fu più mia che sua, ero stanca di testa, stavo soffrendo, ho avuto alcuni problemi personali che mi hanno fatto male e questo si vedeva quando ero in campo. Avevo meno voglia di soffrire, ero spesso triste, mi sentivo appagata e tutto questo ha influito sulla decisione. Nonostante ciò, durante quell’anno in cui non é stato mio coach ha continuato a guardare le mie partite e parlavamo dopo ogni match. Per me Pablo é come un fratello, da quando ci alleniamo insieme continua ad essere un appoggio fondamentale per me.
– Un anno dopo sei tornata a Valencia. Era tutto come prima?
Sì, come se non me ne fossi mai andata. Tutto come sempre. Abbiamo vissuto così tante cose che questa era una novità, proprio come quello che sta succedendo ora. Siamo fuori dalla top 200, lottiamo per scalare la classifica, andiamo ai tornei piccoli… é diverso, ma tra di noi c’è sempre lo stesso feeling.
– Cosa ricordi degli inizi con Pablo?
Sin dall’inizio mi é sempre piaciuto per la sua voglia, la sua carica e la sua motivazione.. In Italia non avevo mai incontrato nessuno con una visione così speciale, e l’ho visto con un tale entusiasmo che ha trascinato anche me. Aveva tutto così chiaro che alla fine mi ha colpito, ha trascinato anche me. Io non avrei mai immaginato di poter salire così in alto, ma lui ci credeva pienamente. Mi ricordo quando all’inizio mi disse: “Dai, vediamo se un giorno riusciamo ad arrivare a un quarto di finale in un Grande Slam”, e io gli dicevo che era matto (risate). Mi ha spinto molto, mi ha sostenuto davvero tanto. Durante partite dove gli dicevo che non potevo giocare meglio di come stessi già facendo lui mi diceva: “sì che puoi”. Alla fine mi ha fatto credere che potevo realizzare molte più cose di quelle che io pensavo.
– Fiducia senza limiti.
La vedevo nei suoi occhi quando mi allenavo, mi spingeva sempre a dare più di quanto potessi. Avere al tuo fianco una persona così, che crede in te, che confida in te, con tanta voglia di fare le cose per bene e allo stesso tempo con cui puoi passare così tanti momenti bene é davvero un regalo, una cosa rara. Ci allenavamo e soffrivamo, però ci divertivamo.

– “Sara non ha la macchina migliore, però le abbiamo insegnato a guidarla alla perfezione” cosi mi ha detto Pablo quando l’ho intervistato nel 2016. Alcune volte ti sei sentita inferiore alle tue avversarie?
Sempre, tutte le volte (ride). Tutte le volte che giocavo contro Kvitova, Garcia, Serena, Sharapova, Stosur, ecc. Le vedevo di fronte a me e non sapevo che fare. Pensavo: “servono meglio di me, tirano di diritto meglio di me, di rovescio uguale, sono più forti fisicamente di me… a che cosa giochiamo?”
– Però le battevi.
Ma non chiedermi come (ride). Pablo mi aiutava moltissimo, da fuori sempre trovava il modo per vincere, magari anche solo una piccola cosa che però poteva fare la differenza. A volte uscivo dal campo senza sapere come avevo fatto, però l’avevo fatto.
– Il tuo esempio rimarrà per sempre, il saper competere con altre armi. Ora se non batti a 200 km/h é più difficile.
E’ un peccato veder il tennis così oggi, con così tanta potenza e così poca tattica. Pablo dice che questo mi avvantaggia, perché se tutti giocano alla stessa maniera io posso dar loro fastidio col mio stile e il mio gioco, ma ora quando guardo il tennis non mi piace più di tanto. Adoro veder giocare Carla Suarez Navarro o Simona Halep, hanno molta più strategia. Tutte le altre fanno molti winners, vero, però io preferirei vedere più tattica e non così tanto servizio.
– Ogni tanto ti ha pesato non poter servire bene come le altre?
Ricordo dopo la finale del Roland Garros di aver chiesto a Pablo di voler migliorare molto il servizio. La stampa mi asfissiava continuamente, dicendomi che con quel servizio non avrei mai potuto vincere niente, e io ho fatto l’errore di dare importanza a quello che dicevano. Pablo mi diceva che andava bene, che non l’avrebbe cambiato con quello di nessun’altra. Era un servizio molto funzionale al mio gioco, avevo una percentuale di prime attorno al 90%, e lui era contento. Ovviamente avremmo continuato ad allenarlo per migliorarlo, però seguendo sempre questa linea, che per il mio gioco era perfetta.
– Non oso immaginare le critiche quando commettevi un doppio fallo.
E’ una situazione che negli anni mi ha causato danno, sicuramente. E si é notato. E’ sempre stato il mio punto debole, e tutta questa gente che continuamente me l’ha fatto notare non ha fatto altro che peggiorarlo. Perché io mi preoccupavo troppo.
– Ricordi di aver perso qualche match a causa del tuo servizio?
Pablo dice di no (ride). E’ chiaro che ci sono state volte in cui ho sofferto, non avevo un servizio come le altre, però compensavo con altre qualità. Quando perdevo partite, le perdevo per come giocavo da fondo campo, e non per il servizio. Così mi diceva Pablo. Da fuori mi dicevano di servire più forte, però servendo più forte non avrei avuto tempo di mettermi in campo nella posizione in cui volevo per iniziare lo scambio. In questa maniera avevo più tempo per mettermi dove volevo.

– La gente preferisce parlare del tuo servizio piuttosto che della tua solidità, del tuo modo di lottare, di arrivare su ogni palla…
E’ sempre stato così. Ricordo match in cui la stampa parlava male del mio servizio e giusto in quella partita avevo servito molto bene. Come se non avessero guardato il match, in ogni articolo si parlava di questo. Questa frase era sempre presente, non mancava mai.
– Vorrei parlare della finale al Roland Garros. Hai rivisto quella partita?
Sì.
– Cosa cambieresti di quel giorno?
Appena finì il match, ricordo Pablo mi disse che avrei dovuto fare più certe cose e meno altre, tipico dopo una sconfitta. Dopo qualche giorno abbiamo rivisto il match e lui rettificò il suo pensiero dicendo: “Hai giocato molto bene”. Durante la partita avevamo pensato avessi giocato peggio di come in realtà avevo giocato. Non cambierei niente, perché ho tentato di fare il meglio che potevo, come del resto ho sempre fatto in tutte le mie partite. Ho dato tutto quello che avevo, fu un gran match e Maria giocò veramente bene. Ha fatto una quantità di vincenti sulle righe che non potevo crederci. Sempre si può migliorare. All’inizio, per esempio, iniziai male, 4-0 sotto. Ma era la mia prima finale in un grande slam, contro Sharapova, e credo fosse normale. Mi sarebbe piaciuto vincere, però il tennis é così, non posso rimproverarmi niente.
– Nel frattempo collezionavi un sacco di titoli in doppio. Con Roberta avete vinto tutti e 4 gli Slam e siete state numero 1 al mondo. Questo ora è impensabile da fare.
Barty è una delle pochissime che gioca sia il singolo che il doppio. E’ un sacrificio molto duro, soprattutto fisicamente. E’ un impegno notevole, ma allo stesso tempo mi ha reso più forte fisicamente, é come una ruota. Giocare sia singolo che doppio mi ha migliorato tantissimo, e mi sono anche divertita un sacco. Vincere tutti e quattro i Grandi Slam fu tanto incredibile quanto inaspettato. Vincere Wimbledon! Non si può spiegare, non riesco a spiegarlo.
– In quale momento avete pensato che completare il Career Grand Slam poteva essere un obiettivo?
Mai. Giocavamo per divertirci. Non ci allenavamo neanche per il doppio. Entrambe eravamo concentrate sul singolo, ogni tanto facevamo Quadritos in doppio con Pablo come riscaldamento, ma non ci siamo mai concentrate specificamente per vincere titoli in doppio. Ci allenavamo, vincevamo e ci divertivamo.
– In questo momento sei 250 nel mondo. Hai 32 anni. Cosa ti motiva a continuare a lottare?
Non lo so, é molto dura a volte. Quello che più mi motiva é il desiderio di tornare a sentirmi bene dentro il campo. Quando hai brutte sensazioni, ti rimane un sapore molto amaro in bocca. Voglio tornare a sentire buone sensazioni. So che il tempo passa, però voglio recuperare queste sensazioni, non mi importa se devo giocare un 25mila, non mi importa se devo giocare tornei piccoli. Ovviamente ho voglia di tornare a giocare match importanti e tornei importanti, però quello che più mi spinge é vedermi di nuovo sul campo a lottare, soffrire, sentirmi competitiva. Essere lì e dare tutto fino alla fine.

– Oggi hai perso contro una ragazza di 17 anni. Non senti di appartenere a un’altra epoca?
Quando entro in campo non mi interessa se la mia avversaria ha 17 anni o 35, mi concentro sul suo tennis. Il mio obiettivo é sempre quello di portare il match dove voglio portarlo, sul mio terreno preferito, variando molto i colpi, cercando di allungare gli scambi. So che é molta fatica contro tenniste che tirano forte, però anch’io do fastidio a loro. Cerco di portare il match per la strada che più mi conviene, una lotta fra stili diversi.
– E cambiare il tuo stile? Nadal o Ferrer hanno sottolineato sempre la loro capacità di adattarsi per sopravvivere alle nuove generazioni. Battere meglio, accorciare i punti, tirare più forte…
Io non lo sto facendo. Ora devo recuperare forza, stare bene fisicamente, però la maniera di vedere il tennis mia e di Pablo non passa dal cambiare il mio stile, non giochiamo a chi tira più forte. E’ chiaro che dipende anche dalla superficie, dal tipo di palle. Sul veloce cambia un po’ la strategia però, in linea generale, manteniamo il piano che abbiamo sempre adottato in tutta la mia carriera.
– Appena finito il match di oggi, sei andata con Pablo a provare un po’ di servizi per una decina di minuti. Questo dice molto.
Con Pablo lo abbiamo fatto molte volte. Ho avuto problemi col servizio e quello che vogliamo é pulire il movimento una volta finito l’incontro. Durante il match sono nervosa e con la tensione modifico leggermente il movimento, per cui necessito “pulire” il gesto di modo che al mattino successivo, quando mi alleno, sono a punto.
– Una domanda complicata. Hai pensato qualche volta al ritiro?
Sono sincera, alcune volte mi é passato per la testa il pensiero, però ho subito accantonato questa cosa. Ho vissuto momenti difficili, sia fuori che dentro il campo. Sono arrivata a dubitare di me stessa “sono ancora capace di giocare a tennis?”. Però continuo. Continuo perché ho voglia, perché desidero farlo, perché ho voglia di recuperare buone sensazioni, e soprattutto perché ho voglia di superare tutto questo.
– Superare te stessa.
Esatto. Voglio superare i miei fantasmi, le mie paure personali, cose che non posso lasciare così come sono. Queste sono cose che quando succedono ti fanno pensare al ritiro, ti invitano a smettere, però io voglio superarle. Non vincere partite, ma vincere i miei limiti, che non voglio che siano come sono ora.

Come ti immagini il finale?
E’ difficile rispondere, soprattutto capire come. Vedo come la gente si ritira e mi impressiona, quando David Ferrer si é ritirato ho pianto un sacco. Non credo di riuscire a fare come ha fatto lui, di annunciare “fra un anno mi ritiro” e poi di smettere. Non mi piacerebbe essere così al centro dell’attenzione. Poi vai ai tornei e sono tutti lì per te, é una cosa molto bella ma non credo faccia per me. Quando deciderò, smetterò senza dire niente prima. Credo farò così, però non si sa mai. La cosa più importante é sentirmi di nuovo bene in campo, però poi – se mi sentirò di nuovo bene – perché smettere?
Pennetta si è ritirata vincendo un Grande Slam.
Questa é una pazzia, quasi impossibile da fare (ride). Immagino che quando arriverà quel giorno lo sentirò. Ora quello che desidero é tornare a divertirmi, gustarmi i momenti e vedere questa volta fin dove riesco ad arrivare. Come se fosse una seconda carriera. Darò il massimo, alla morte, e vedremo dove arriverò. Se riesco a tornare a dare il massimo di me stessa, cosa posso chiedere di più?